Concerto letterario in due parti
prima parte
Søren Kierkegaard
m 3 h20 | m 4 h20 | g 5 h19 ottobre 2023
seconda parte
Arthur Schopenhauer
v 6 h21 | s 7 h21 | d 8 h19 ottobre 2023
scrittura e regia Paolo Panaro
partitura sonora Govinda Gari
con Paolo Panaro, Francesco Lamacchia
pianoforte Govinda Gari
produzione Compagnia Diaghilev | Festival Time Zones
Prima Parte
Kierkegaard, un colloquio immaginario con Heidegger
Due filosofi in un dialogo immaginario, dove, attraverso un serrato confronto fra le rispettive idee, i due pensatori “esistenziali” analizzano il mondo contemporaneo e la critica verso l’assolutismo e la tirannia dei grandi sistemi filosofici. Kierkegaard individua nella dimensione dell’inquietudine metafisica l’essenza stessa, l’elemento fondamentale del suo spirito. Essa non è presente nella bestie che, prive di spirito, sono guidate dalla necessità dell'istinto, né negli angeli che, puro spirito, non sono condizionati dalle situazioni concrete. L’angoscia, invece, è tipica della natura umana, è la sua “vertigine di libertà”: l'uomo sa di avere la possibilità di scegliere ma è proprio questa indeterminatezza che lo strazia. Egli acquista la coscienza che tutto è possibile; ma sa anche che quando tutto è possibile nulla è possibile. Dunque, la sua libertà è possibilità del nulla. L’uomo, quando è costretto a scegliere, rivive il trauma del peccato originale, il violento passaggio da innocenza a colpevolezza. L’innocenza è ignoranza, assenza di consapevolezza della differenza tra bene e male, è stato di pace e quiete. Adamo non comprende il divieto di Dio, ma comprende che la possibilità di poter scegliere è ben più terribile di ogni realtà poiché in essa tutto è possibile, anche la perdizione e l’annientamento. E’ in quella liberta che avverte il nulla da dove ogni uomo proviene e la tensione verso l'avvenire che lo attende, conosce, insomma, l’ambiguità dell’esistenza e l’assurdità della vita. E’ sull’orlo di un abisso e, non potendo reggere il peso dell’angoscia, compie un salto: pecca. Ma è il peccato che lo rende consapevole di sé e gli fa cono- scere il volto del nulla. Per vincere le tenebre occorre fare un altro salvifico salto: aggrapparsi disperatamente all’unica possibilità che rimane, Dio.
Seconda Parte
Schopenhauer, l’essere come volontà
Nel 1858, il critico letterario Francesco De Santis presenta alle stampe il primo studio fatto in Italia sull’opera di Arthur Schopenhauer. Avendo apprezzato il rigore e la profondità del pensiero del filosofo tedesco, durante la sua permanenza in Svizzera, scrive un illuminante dialogo fra due individui, uno dei quali è se stesso. Mentre è in viaggio in carrozza, si confronta con un suo ex allievo in merito al valore della filosofia. Il modello letterario dell’opera è costituito dai Dialoghi di Platone, dalle Operette morali di Leopardi e dai Dialoghi di Luciano. L’ex allievo, durante il viaggio, deride tutte le teorie filosofiche del passato, giudicandole delle “inutili chiacchiere”; De Santis, invece, difende le ragioni della filosofia e, nello specifico, l’opera di Schopenhauer. Espone al suo compagno il pensiero del filosofo facendo esplicito riferimento alla sua opera più famosa, il Mondo come volontà e rappresentazione. Per Schopenhauer, riferisce De Santis, Hegel e Fichte sono i “grandi peccatori” dell’epoca moderna avendo rimosso dalla filosofia la concretezza del soggetto, mentre Kant avrebbe avuto il torto di aver cercato la verità ma di essersi fermato al di qua della conoscenza. Schopenhauer, invece, si spinge in avanti e dà un’occhiata al “dietro le scene” trovando il reale, la cosa in sé, il Wille , il volere, la volontà, la forza di esistere che sempre si riproduce in ogni uomo, in ogni fenomeno. Solo la morte è la fine del male e del dolore, è il Wille che ritorna a se stesso, come risuona nei testi leopardiani: “Se la vita è sventura/Perché da noi si dura? (Canto notturno di un pastore errante dell’Asia). Allo stupore del suo ex allievo di fronte a questa citazione, il critico risponde che Schopenhauer e Leopardi sono una sola cosa. Mentre uno creava la metafisica, l’altro la poesia del dolore. Leopardi si chiedeva perché il vivere è così doloroso; Schopenauer, con il Wille, ha sciolto l’enigma.